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venerdì 26 luglio 2013

LO SPORT, L’EQUITAZIONE E GLI SPETTACOLI.

Lo sport può essere privato, come la preghiera che la persona recita da sola e
per proprio conto, anche dentro una stanza chiusa; oppure può essere
pubblico, quale è praticato collettivamente nei campi sportivi, come la
preghiera cui si adempie collettivamente nei luoghi di culto. Il primo tipo di
sport interessa personalmente il singolo individuo; il secondo riguarda tutto il
popolo, il quale lo pratica senza lasciare che nessuno lo faccia in sua vece.
Sarebbe irrazionale che le masse (gamàhìr) entrassero nei luoghi di culto,
senza pregare, solo per stare a guardare una persona o un gruppo che prega.
Allo stesso modo è irrazionale che esse entrino negli stadi e nei campi senza
praticare lo sport, solo per stare a guardare uno o più individui che giocano. Lo
sport è come il pregare, il mangiare, il riscaldare ed il ventilare. Sarebbe
sciocco che le masse entrassero in un ristorante per stare a guardare una
persona o un gruppo che mangia! Oppure che la gente lasciasse che una
persona o un gruppo godessero fisicamente del riscaldamento e dell’aria in
sua vece! Allo stesso modo è irrazionale che si permetta ad un individuo o ad
una squadra di monopolizzare lo sport escludendo la società, mentre essa
sopporta gli oneri di tale monopolizzazione a vantaggio di detto individuo o
detta squadra. Proprio come democraticamente non dovrebbe essere
permesso che il popolo autorizzi un individuo, un gruppo, fosse pure un
partito, una classe, una confessione religiosa, una tribù o un’assemblea, a
decidere del suo destino in sua vece o a sentire i suoi bisogni in sua vece. Lo
sport privato interessa solo chi lo pratica su sua responsabilità e a sue spese.
Lo sport pubblico è una necessità pubblica per la gente.
 Nessuno dovrebbe
essere delegato a praticarlo in sua vece, fisicamente e democraticamente.
Sotto l’aspetto fisico tale delegato non può trasmettere agli altri il vantaggio
che trae dallo sport per il suo corpo e il suo spirito. Sotto l’aspetto
democratico non è giusto che un individuo o un gruppo monopolizzino lo
sport, come anche il potere, la ricchezza e le armi, escludendo gli altri. I circoli
sportivi oggi al mondo sono alla base dello sport tradizionale e si accaparrano
tutte le spese ed i mezzi pubblici relativi all’attività sportiva in ogni stato. Tali
istruzioni non sono altro che strumenti di monopolio sociale; come gli
strumenti politici dittatoriali che monopolizzano il potere escludendo le
masse; come gli strumenti economici che monopolizzano la ricchezza della
società; come gli strumenti militari tradizionali che monopolizzano le armi
della società.
L’era delle masse, come distruggerà gli strumenti di monopolio della ricchezza,
del potere e delle armi, così sicuramente distruggerà anche gli strumenti di
monopolio dell’attività sociale quale lo sport, l’equitazione etc. Le masse
fanno la fila per sostenere un candidato a rappresentarle nel decidere il loro
destino, in base all’assurdo presupposto che egli le rappresenterà e
propugnerà la loro dignità, sovranità e prestigio. A tali masse, defraudate della
volontà e della dignità, non rimane che stare a guardare una persona che
svolge un’attività che per natura dovrebbero svolgere loro stesse. Esse sono
come le masse che non praticano lo sport di persona e per se stesse, perché ne
sono incapaci per loro ignoranza, e per il raggiungimento davanti agli
strumenti che mirano a divertirle e a stordirle affinché ridano e applaudano,
invece di fare dello sport, che essi appunto monopolizzano. Come il potere
deve essere delle masse, anche lo sport deve essere delle masse. Come la
ricchezza deve essere di tutte le masse e le armi del popolo, anche lo sport,
per la sua qualità di attività sociale, deve essere delle masse. Lo sport pubblico
riguarda tutte le masse, ed è un diritto di tutto il popolo per i vantaggi che
offre in salute ed in benessere. E’ stolto lasciare tali benefici ad individui e a
gruppi particolari, che li monopolizzano e ne colgono individualmente i
vantaggi igienici e spirituali, mentre le masse provvedono a tutte le
facilitazioni e mezzi, pagando le spese per sostenere lo sport pubblico e
quanto esso richiede. Le migliaia di spettatori che riempiono le gradinate degli
stadi per applaudire e ridere sono migliaia stolti incapaci di praticare lo sport
di persona: tanto che stanno allineati sui palchi dello stadio apatici e plaudenti
a quegli eroi che hanno strappato loro l’iniziativa dominando il campo, e che si
sono accaparrati lo sport requisendo tutti i mezzi prestati a loro vantaggio
dalle stesse masse. Le gradinate degli stadi pubblici originariamente sono
state allestite per frapporre un ostacolo tra le masse ed i campi e gli stadi: cioè
per impedire alle masse di raggiungere i campi sportivi. Esse saranno
disertate, e quindi soppresse, il giorno in cui le masse si faranno avanti e
praticheranno lo sport collettivamente nel bel mezzo degli stadi e dei campi
sportivi, rendendosi conto che lo sport è un’attività pubblica che bisogna
praticare e non stare a guardare. Se mai potrebbe essere ragionevole il
contrario: che a guardare fosse la minoranza impotente o inerte. Le gradinate
degli stadi scompariranno quando non si troverà più chi vi si siede. La gente
incapace di rappresentare i ruoli dell’eroismo nella vita, coloro che ignorano i
fatti della storia, che sono limitati nella rappresentazione del futuro e che non
sono seri nella vita sono degli individui marginali che riempiono i posti dei
teatri e degli spettacoli per stare a guardare i fatti della vita e imparare come
procede.
Esattamente come gli allievi che riempiono i banchi delle scuole, perché non
sono istruiti, anzi in partenza sono analfabeti. Coloro che si costruiscono la
vita da sé, non hanno bisogno di guardare come va per mezzo di attori sul
palcoscenico del teatro o nelle sale da spettacolo. Così i cavalieri, ciascuno dei
quali monta il proprio cavallo, non hanno posto al margine dell’ippodromo. E
se ognuno avesse un cavallo non si troverebbe chi assiste ed applaude alla
corsa: gli spettatori seduti sono soltanto quelli incapaci di svolgere tale
attività, perché non sono cavalieri. Così ai popoli beduini non importa il teatro
e gli spettacoli, perché lavorano sodo e sono del tutto seri nella vita. Essi
realizzano la vita seria, e perciò si burlano della recitazione. Le comunità
beduine non stanno a guardare chi svolge una parte, ma praticano i
divertimenti o i giochi in modo collettivo, perché ne sentono istintivamente il
bisogno e li eseguono senza spiegazioni. I diversi tipi di pugilato e di lotta sono
prova che l’umanità non si è ancora liberata da tutti i comportamenti selvaggi.
Ma necessariamente finiranno, quando l’essere umano si sarà elevato più in
alto sulla scala della civiltà. Il duello con le pistole e prima d’esso l’offerta del
sacrificio umano erano un costume abituale in una delle fasi dell’evoluzione
dell’umanità. Ma queste pratiche selvagge sono cessate da secoli, e l’uomo ha
cominciato a ridere di se stesso e nel contempo a dolersi di aver compiuto tali
atti. Così sarà anche per la questione dei diversi tipi di pugilato e di lotta fra
decenni o fra secoli. Ma gli individui più civilizzati degli altri e mentalmente più
elevati già fin d’ora possono fare qualcosa per tenersi lontano dal praticare e
incoraggiare tale comportamento selvaggio.
Da: il libro verde di Muammar Gheddafi.

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