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sabato 11 gennaio 2014

LIBIA: IL LEONE DEL DESERTO

di Gianni Lannes


Ecco la storia di un genocidio di marca italiana dimenticato o ignoto ai più. Il 16 settembre 1931, Omar al-Mukhtar, il “leone del deserto”, capo dei partigiani che si battevano contro i militari “brava gente” in Libia fu fatto impiccare dal “benemerito” generale Rodolfo Graziani. Terminava così una lotta per la libertà e l’indipendenza che durava dal 1912. L’esercito fascista pur di avere ragione della resistenza libica, non solo non esitò ad usare i bombardamenti aerei a base di gas proibiti dalla Convenzione di Ginevra del 1925 (soprattutto iprite) sulla popolazione inerme, ma adottò anche la soluzione finale della deportazione in campi di concentramento. In centomila furono strappati dai loro villaggi e dalle loro case. In quarantamila morirono di stenti.



Censura in atto - Cosa accadrebbe se negli Stati Uniti d’America il governo impedisse ai suoi cittadini di vedere il film Platoon? Eppure, nel Belpaese, un episodio di censura cinematografica su uno dei peggiori momenti della storia patria prosegue indisturbato da 33 anni. Infatti, nel 1979 esce in Italia “Omar il leone del deserto” - protagonista Anthony Quinn - che viene immediatamente sequestrato dalla Digos. La causa? La pellicola racconta della strenua resistenza opposta al colonialismo dei Savoia in Cirenaica (Libia), da Omar al-Mukhtar, 63 anni sul groppone e una vita passata a difendere la propria terra dagli attacchi degli italiani e dei francesi. L’anziano combattente aveva un grande carisma che gli derivava dall’esistenza povera ed integerrima, dal valore in battaglia e da un genio militare che gli consentirà - pur con scarse armi e munizioni - di tenere in scacco per dieci anni l’esercito fascista di casa Savoia. I soldati savoiardi si trovavano in Tripolitania e Cirenaica dal 1912, ultimi arrivati nella corsa alle colonie tra le grandi potenze europee. Ma ancora nel 1922, all’avvento del fascismo - sostenuto da industriali e agrari in salsa massonica - di queste due ampie regioni erano sotto controllo savoiardo solo alcune grandi città costiere. Il Pensiero del duce Benito Mussolini era terra terra: occorreva riconquistare la Libia a qualsiasi costo. Così negli che seguirono, i governatori e i generali italiani, si chiamassero Volpi (a cui ancora oggi è vergognosamente dedicato uno dei premi del festival cinematografico di Venezia), De Bono, Badoglio o Graziani, misero in atto una spietata conquista, avvalendosi dei mezzi bellici più moderni e di truppe coloniali eritree, somale, etiopi e libiche.


Colonizzazione e guerriglia - La conquista della Tripolitania è affidata al macellaio Rodolfo Graziani (in seguito presidente onorario del Movimento sociale italiano, in cui ha militato l’attuale presidente della Camera Gianfranco Fini), mentre Volpi cerca di avviare la colonizzazione del territorio. Nel dicembre del 1928 viene nominato governatore unico delle due colonie il generale Pietro Badoglio (corresponsabile dell’eccidio nazista di Cefalonia), colui che sostituirà Mussolini il 25 luglio 1943. Il monarchico Badoglio chiarisce subito le sue intenzioni: “Se mi obbligate alla guerra, la farò con criteri e con mezzi potenti, di cui rimarrà il ricordo. Nessun ribelle avrà pace: né lui, né la sua famiglia, né i suoi arredi, né i suoi armenti. Distruggerò tutto, uomini e cose. Questa è la mia prima parola, ma è anche l’ultima”. Come ricompensa per la facile vittoria in Tripolitania, è Graziani a ottenere il comando militare in Cirenaica. Qui la situazione è molto diversa. Omar al-Mukhtar ha il controllo dell’entroterra. Con due-tremila uomini, a volte ridotti a mille, armati di coraggio, Omar affronta 20 mila nemici dotati dei mezzi più moderni ed efficienti: aerei, autoblindo, mitragliatrici, cannoni, radio, ordigni caricati con aggressivi chimici. Quasi sempre all’offensiva, Omar colpisce, poi si ritira e svanisce nel nulla. Il suo pensiero: “Il nostro potere in questo paese supera quello dei ribaldi del governo italiano, poiché questi combattono per cupidigia, mentre noi combattiamo per mantenere in alto la parola di Dio e per la difesa della cara Patria”.


Deportazione e lager - Attaccato da ogni parte, bombardato e mitragliato, Omar riesce ugualmente a mettere in salvo gran parte dei suoi combattenti. Fedele alla propria fama di criminale senza limiti, Graziani introduce la pena di morte per impiccagione per il reato di semplice connivenza con i ribelli. Ma non basta, non si riesce a venire a capo della ribellione, appoggiata apertamente dalle popolazioni locali. Ed ecco l’atroce soluzione finale: tutti gli abitanti del Gebel - la zona montuosa alle spalle della costa - 100 mila persone, la quasi totalità della popolazione cirenaica, vecchi, donne e bambini, vengono deportati e internati in campi di concentramento, i loro beni espropriati, i villaggi bruciati (proprio come i savoiardi avevano fatto ai tempi del brigantaggio con i paesi di Casalduni e Pontelandolfo nel Mezzogiorno tricolore). Alcune tribù sono costrette ad una marcia a piedi di 1.100 chilometri. Le deportazioni imperversano per 3 anni, nei quali i libici vengono decimati dalla denutrizione, dalla fatica del lavoro coatto, dalle malattie, dalle torture. Nei lager chi è sospettato di semplice connivenza viene impiccato senza tanti complimenti, sovente insieme alla propria famiglia, bimbi compresi. Alla fine saranno in 40.000 a non sopravvivere. Il genocidio ottiene l’effetto sperato: Omar è in difficoltà. E’ ancora il gas proibito l’arma preferita dagli italiani: fosgene e iprite sganciati dagli aerei anche sulle famiglie che accompagnano i patrioti e sugli armenti che li sostentano. Uno dopo l’altro, gli alleati di Omar vengono uccisi dai savoiardi in camicia nera, quando non dalla sete e dagli effetti chimici delle bombe. Finché l’11 settembre 1931, un gruppo di libici si vende agli italiani e consente di catturare Omar. Ferito, il capo dei partigiani si salva dall’immediata fucilazione, ma Badoglio ha inesorabilmente decretato il suo destino: “Ravviso l’opportunità di fare un regolare processo e conseguente condanna, che sarà senza alcun dubbio la pena di morte”. Con l’impiccagione pubblica di Omar al-Mukhtar muore anche questa rivolta contro il dominio italiano.

Fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2012/07/libia-il-leone-del-deserto.html

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