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martedì 13 maggio 2014

«La mia Libia nella morsa del fondamentalismo»

5/5/2014
Il vescovo di Tripoli lancia l’Sos su “Nigrizia”: se vincono gli estremisti, qui a comandare sarà il Qatar
Gerolamo Fazzini

La Libia del dopo-Gheddafi? «Sta cercando la sua identità, attraverso prove continue. Una delle più terribili è il fondamentalismo. Non credevo che la Libia ne fosse così invasa». A lanciare l’allarme è una personalità del calibro di monsignor Giovanni Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, dalle colonne di “Nigrizia”. Nel numero di maggio, il mensile dei Comboniani pubblica un’intervista al presule dal titolo molto eloquente: “Emirato Libia”. Il motivo è presto detto: secondo Martinelli «le milizie a orientamento islamico sono egemonizzate dal Partito della giustizia e della ricostruzione, legato ai Fratelli musulmani egiziani, ma ci sono molti fondamentalisti del Qatar».



Davanti a questo scenario inquietante, «l’Europa – è il j’accuse del vescovo - pensa solo ai suoi interessi, quasi non sapesse cosa accade sul terreno. Non riuscirà a controllare i giacimenti petroliferi perché le forze islamiste si stanno infiltrando ovunque. E se se vincono i fondamentalisti sarà il Qatar a gestire la politica petrolifera».



Martinelli è uno abituato a misurare le parole. Ha passato lunghi anni dovendosi misurare, a distanza, con un uomo come il colonnello Gheddafi. Ma non è solo abilità diplomatica, la sua: in Libia c’è nato, 72 anni fa. E nel 1971 c’è tornato da prete, francescano, all’indomani della cosiddetta “Rivoluzione verde”. In quel periodo a dir poco tumultuoso, prima della nomina a vescovo nel 1985, Martinelli è stato testimone della cacciata degli italiani. Ha vissuto il sequestro della cattedrale di Tripoli, divenuta una moschea e, da tre anni in qua, alla rivoluzione seguita alla “primavera araba”.



Dalla sua postazione non s’è mai mosso, nemmeno nei giorni più caldi, culminati, il 20 ottobre 2011, con la cattura e "l’uccisione di Gheddafi" . «Il cristianesimo “straniero” – spiega lui stesso – è rispettato». Ma deve poi ammettere: «Anche noi abbiamo vissuto momenti difficili. (…) Dobbiamo fare i conti con il fondamentalismo».



E lì parte il rosario dei problemi: «In Cirenaica (la regione orientale, al confine con l’Egitto, ndr) il partito islamico è forte e la città di Derna è in mano ai gruppi più estremisti. Così le nostre suore, presenti da molto tempo in quella città, sono state obbligate a lasciare. Anche le sorelle di Tobruk e di Barge se ne sono andate dopo aver ricevuto minacce. A Bengasi resistono ancora. Ad attaccare le suore sono stati i fondamentalisti del Golfo». Poi aggiunge un commento intriso di amarezza: «I libici, che pure conoscevano bene le suore, non hanno avuto il coraggio di dire una parola».



Lo scenario è, insomma, a dir poco preoccupante. Monsignor Martinelli, tuttavia, non si perde d’animo, anche si vede costretto a constatare che «non abbiamo avuto minacce, ma siamo rimasti in pochi».



La conclusione della sua intervista su “Nigrizia” ha il sapore del “siamo servi inutili” evangelico. «Viviamo la testimonianza del silenzio e della preghiera». Una condizione comune a diverse altre comunità cristiane del Nord Africa e del Medio Oriente. Purtroppo spesso dimenticate, anche dai loro fratelli di fede.
Fonte:

http://vaticaninsider.lastampa.it/nel-mondo/dettaglio-articolo/articolo/libia-libya-libia-33915/

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