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domenica 8 febbraio 2015

Libia: la guerra silente

2 febbraio 2015
di Nuccia Decio

Libia, cuore pulsante di tutti i traffici, dopo la "morte" del Colonnello Gheddaffi, pare non desti grande attenzione da parte degli organi quanto meno della stampa internazionale. Eppure è una bomba ad orologeria pronta a scoppiare a 200 chilometri dalle nostre coste sulle quali ogni giorno vengono riversati corpi senza vita di disperati partiti dal paese dei Garamanti.

Fantasmi caduti nelle mani delle mafie dei trafficanti, che possono operare senza alcun controllo sulle coste libiche, anche se oggi da tutti è considerata zona di guerra.
E’ lecito attendersi dai nostri governanti una spiegazione sul dramma che sta avvenendo oltre confine, dobbiamo conoscere sotto quali condizioni operano le imprese italiane che nonostante la grave situazione locale hanno ancora in corso relazioni d’affari , sotto forma di rifornimento energetico, (ENI), esportazione di armi (Finmeccanica), enti a carattere azionario (Unicredit).

E’ lecito chiedere perché la nostra Ambasciata risulti fra le poche se non l’unica ancora operativa?.
Il dubbio che le nostre aziende e l’ambasciata operino sotto la tutela di fazioni con possibili componenti jihadiste lascia un senso di inquietudine.
Ma il silenzio sulla Libia, non riguarda solo il nostro Paese, ma la comunità occidentale tutta.
Una cortina di silenzio avvolge il Paese nonostante dichiarazioni esplicitate da organismi umanitari dopo gravi fatti accaduti e in corso.
Neppure dopo il grave attentato terroristico avvenuto a Tripoli, pochi giorni fa, costato la vita ad undici persone mentre a Ginevra erano in corso i colloqui di Pace , volute dall’ONU, tra le delegazioni del governo riconosciuto del Premier Abdullah al Thani ed alcuni dei rappresentanti delle forze islamiste che controllano la Tripolitania, minacciando la Cirenaica.
Neppure oggi quando Ansar al Sharia,ha diffuso sui suoi siti internet immagini di uffici di polizia e tribunali islamici istituiti attorno alla città di Bangasi, dove sfrecciano auto che riportano la scritta “Polizia Islamica”.
Neppure la conferma che il terrorismo in Libia non risparmia nessuno, anche se è la Cirenaica il vero campo di battaglia di uno scontro fuori da alcun controllo. Diritti umani calpestati, non esistono più regole per una civile convivenza ne sopravvivenza. Sequestri, torture, stupri, uccisioni sommarie.
L’organizzazione jihadista Ansar al Sharia, è strettamente legata ad IS (Partigiani della legge islamica) da anni insediatasi nella città di Derna che dal Novembre scorso ha assunto il ruolo di capitale del Califfato Islamico in Libia: A Derna vivono circa 100 mila persone, che ogni giorno sono spettatori se non vittime delle reiterate violenze.
Questi avvenimenti sono indicativi dell’abbandono totale in cui è caduto il Paese dopo la “guerra di liberazione” fortemente voluta da Francia e Gran Bretagna. Ma proprio dai fautori della forza liberatrice, il Paese è stato letteralmente abbandonato al proprio destino dopo aver fatto terra bruciata attorno ai pozzi su cui vigevano interessi economici non solo europei.
Oggi la Libia è un Paese spaccato in due tra due parlamenti e due governi che non possiedono capacità governative, tuttalpiù sono in grado di controllare parziali zone del territorio libico. Il governo formatosi dopo le elezioni del giugno 2014 risiede a Tobruk dalla scorsa estate, ed è controllato da una sorta di alleanza fra le forze laiche e varie fazioni autonomiste riconducibili alla Cirenaica. L’altro a Tripoli è sotto il controllo delle variegate forze islamiste, con una preponderanza del partito legato alla Fratellanza musulmana libica.

Una situazione assai complessa le cui cause possono essere riconducibili anzitutto alla peculiarità del regime di Gheddafi costruito attorno alla propria immagine, che non ha permesso lo sviluppo di movimenti che potessero contribuire alla stabilità del Paese nel periodo di transizione.

Va inoltre sottolineato che nel 2011, non avvenne una rivoluzione bensì una rivolta armata, sorretta da interventi esterni, ma presentata con caratteristiche riconducibili ad una guerra civile. Inoltre alle distrazioni della comunità internazionale (responsabile dell’intervento militare) in campo politico possono essere attribuite responsabilità sull’attuale crisi.

Quali e quanti tentativi sono stati avviati per costruire delle istituzioni o per rafforzare lo stato di diritto? Quale spazio si è dato alle identità alternative a quelle nazionali, numericamente elevate in Libia. L’appartenere ad una comunità locale o ad una minoranza, quali ad esempio le berbere e le tebu, potevano rivestire un ruolo importante nel nuovo panorama libico. Altrettanto rilevante è l’identità islamica, emersa in modo preponderante dopo la caduta del regime Spingere le fazioni ad elezioni in tempi brevi ha contribuito a dividere anziché mantenere unito un paese, questa posizione si può riassumere in una definizione assenza totale di “Nation building”, fase nella quale si sarebbe dovuto discutere di un comune terreno su cui ricostruire una nuova Libia.
Tutti hanno commesso abusi in Libia, forse qualcuno di più in difesa dei propri interessi, indifferenti al disfacimento politico, sociale, economico del Paese, sprezzanti dei diritti umani violati. Ma in casa propria ostentati.

Adattamento dall' originale: http://caratteriliberi.eu/2015/02/02/in-evidenza/libia-la-guerra-silente/

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