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sabato 20 giugno 2015

Libia; al Ghirani, ministro degli Esteri del governo di Tripoli all'Huffpost: "Riconosceteci e vi aiutiamo contro gli scafisti"

Umberto de Giovannangeli 11/6/2015

“Lo abbiamo ribadito in più sedi, in modo ufficiale e i colloqui riservati. Per quanto ci riguarda, siamo pronti a fare la nostra parte nel contrastare gli scafisti. Ciò che chiediamo all’Europa e di riconoscere la legittimità del governo di Tripoli. Non siamo dei pericolosi jihadisti: tra le nostre fila vi sono uomini che hanno combattuto contro il regime di Muammar Gheddafi, milizie e tribù che hanno pagato per questo un altissimo tributo di sangue. Non siamo noi a rifiutare una seria trattativa per formare un governo di riconciliazione nazionale, davvero rappresentativo degli interessi di tutto il popolo libico. Ciò che riteniamo inaccettabile è essere discriminati, perché ciò significa discriminare non un governo o un parlamento ma una parte importante del mio popolo”. In altre parole, riconosceteci e faremo la nostra parte nel combattere i trafficanti di esseri umani. È questo il messaggio che Muhammed al Ghirani, ministro degli Esteri del governo di Tripoli, affida a un'intervista concessa all’Huffington Post. “Noi abbiamo dimostrato la nostra volontà di collaborare anche in un recente episodio che ha riguardato un cittadino italiano" aggiunge, con riferimento alla liberazione di Ignazio Scaravilli, medico italiano sequestrato in Libia lo scorso 6 gennaio.

L’Europa discute sul modo più efficace per contrastare i trafficanti di esseri umani che usano la Libia come base per organizzare i loro “viaggi nella morte” nel Mediterraneo. Si parla di pattugliamento delle acque internazionali davanti alle coste libiche e anche di azioni in acque territoriali libiche. Qual è la posizione del suo Governo?

Un pattugliamento a distanza, più che inefficace, è assolutamente pericoloso. Chiedo come sia possibile distinguere a così lunga distanza quali siano le imbarcazioni dei trafficanti di esseri umani e quelle invece di pescatori libici. Non esistono bombe così “intelligenti” da poter discernere gli obiettivi da colpire da quelli da evitare. C’è bisogno di dati precisi, per questo è fondamentale la collaborazione. Più che il rischio c’è la certezza di poter colpire persone innocenti, e questo non può assolutamente essere fatto passare come un danno collaterale.

Allora sarebbe più sicuro il blocco navale

Ma questo vorrebbe dire agire in acque appartenenti a uno Stato sovrano. Deve essere chiaro: senza un accordo con le istituzioni rappresentative del popolo libico, un blocco navale equivarrebbe a una dichiarazione di guerra, con tutte le conseguenze che essa comporta. Il problema è politico, non militare.

Cosa intende?

Noi non solo abbiamo dato la nostra disponibilità ma stiamo già agendo per fermare i flussi migratori clandestini, problema questo che sta particolarmente a cuore all’Italia. Noi collaboriamo con l’Europa, ma nonostante ciò continuano a ripeterci che il nostro non è il governo riconosciuto dalla comunità internazionale. Ci chiedono di collaborare ma non ci riconoscono: e questa la chiamano chiarezza?

Da tempo l’inviato speciale delle Nazioni Unite, Bernardino Leon, è impegnato in una difficile trattativa per giungere a un governo di unità nazionale. Ma la sua strada è sempre più in salita.

Noi chiediamo che sia riconosciuta la nostra rappresentatività nazionale e che i negoziati partano da una base paritaria. È Tobruk ha insistere perché sia mantenuto lo status quo, che la comunità internazionale sostenga militarmente una parte in conflitto contro l’altra. Ciò non è solo inaccettabile, ma è estremamente pericoloso.

Signor ministro, il governo di Tobruk accusa quello di Tripoli di essere in mano jihadista e che l’unico modo per combattere il terrorismo è sostenere con tutti i mezzi Tobruk.

Del governo che rappresento e del parlamento che lo sostiene fanno parte uomini che hanno combattuto contro il regime di Gheddafi, ma che rifiutano di prendere ordini da potenze straniere. In mano ai jihadisti? Ma se a combattere contro lo Stato islamico sono i combattenti di “Fajir Libia” (Alba libica) fedeli al mio governo? I nostri combattenti affrontano le milizie dell’Isis a Sirte, a Derna (proclamata “capitale” del Califfato islamico in Libia, ndr). Noi siamo per una pacifica soluzione della crisi e siamo pronti a individuare una figura autorevole e super partes che possa assumere la guida di un governo di unione nazionale. Sono altri a illudersi di poter conquistare il potere con la forza delle armi. L’Europa dovrebbe chiedersi chi, nella regione, ha interesse alla destabilizzazione della Libia per mire di potenza e per poter mettere le mani sulle risorse naturali di cui è ricco il Paese, a cominciare dal petrolio. Certo, nelle nostre fila vi sono formazioni islamiste, ma questa non può essere una ragione valida per discriminarci. La prima legittimità di un governo viene dal riconoscimento popolare, dalla sua capacità di esercitare il controllo del territorio nazionale. Noi siamo questo. L’Europa lo riconosca.

Tornando all'emergenza migranti, non crede che esista un aspetto umanitario che dovrebbe prevalere su calcoli politici?

Assolutamente sì. Nelle scorse settimane il nostro primo ministro Khalifa Ghwell ha tenuto una importante riunione allargata a ministri e funzionari dell’immigrazione per fare il punto della situazione. Vi sono circa 8 mila migranti stranieri detenuti nei centri libici, e nonostante la nostra scarsità di risorse abbiamo deciso di farcene carico. Ma a impartirci lezioni di umanità non possono essere coloro che hanno provocato il disastro libico prima con scelte scellerate e oggi discriminandoci. Quello libico è un popolo orgoglio, che in passato ha lottato contro il colonialismo e per difendere la propria sovranità nazionale. E per essa continueremo a batterci.

Fonte: http://www.huffingtonpost.it/2015/06/11/libia-migranti-intervista-ministro-esteri-al-ghirani_n_7560926.html

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