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giovedì 11 giugno 2015

Libia, Julian Assange svela i piani dell'Europa: "Guerra terrestre". L'Espresso rivela documenti riservati dell'Ue

Umberto de giovannangeli 26/6/2015

Quei documenti segreti svelano una verità scottante che ministri, premier e capi di Stato europei hanno provato a mascherare. Altro che “nessuna operazione terrestre” e solo “pattugliamenti navali rafforzati”. La realtà è un’altra e a svelarla sono alcuni documenti “secretati” dell’Unione europea . WikiLeaks svela carte riservate dell’Ue. Che indicano l’unica strada percorribile, con mille rischi, di cui l’Huffington Post aveva raccontato nelle scorse settimane: operazioni terrestri per fermare gli scafisti in Libia. Fonti diplomatiche e analisti militari ascoltati dall’Hp avevano convenuto su un fatto: per combattere davvero i trafficanti di esseri umani e i loro alleati jihadisti, non bastano qualche nave, drone, o elicotteri, occorre predisporre piani di “bonifica del territorio” con soldati a terra, e tanti: almeno 60mila a rotazione per una guerra che non sarà breve né indolore. Così è.


E i documenti pubblicati in esclusiva da l’Espresso nel numero che sarà in edicola venerdì, ne danno conto. L'organizzazione di Julian Assange ha pubblicato i due protocolli riservati dell'Unione Europea che delineano la strategia per la missione in Libia, presentata esplicitamente come “un'operazione militare”. Che delinea la possibilità di un intervento ben più ampio nello Stato africano. Particolarmente significativo è il dossier redatto dai ministri della Difesa dei Ventotto (per l’Italia Roberta Pinotti) in cui si descrive la natura militare della missione. Per l'operazione si ipotizzano tre fasi, con una durata iniziale di un anno. Si scrive che dal punto di vista militare la missione sarà conclusa quando «il flusso di migranti e l'attività dei trafficanti saranno significativamente ridotti».

La finalità principale è quindi quella di arrestare le partenze dalle coste libiche, rendendo – attraverso la distruzione delle organizzazioni degli scafisti – più difficile per l'esodo di disperati usare la rotta verso la Sicilia. Il documento – annota l’Espresso- prevede esplicitamente operazioni a terra, come aveva ventilato il quotidiano londinese “Guardian” che aveva parlato di “boots on the ground”. Nelle 19 pagine di piano strategico per la missione europea contro gli scafisti, si legge sul Guardian, “si punta soprattutto su interventi aerei e navali nel Mediterraneo e nelle acque territoriali libiche, con il via libera delle Nazioni Unite. Ma si aggiunge che operazioni di terra in Libia possono essere necessarie per distruggere i barconi dei trafficanti ma anche i depositi di carburante“.

Ciò potrebbe includere “azioni lungo la costa, in porto o in rada”. Tesi rilanciata dai documenti acquisiti dall’organizzazione di Assange, nei quali si cita tra i i pericoli “la presenza di forze ostili, come estremisti o terroristi come lo Stato Islamico”. E sottolinea: “La minaccia che scaturisce dalla gestione di un grande volume di migranti deve essere presa in considerazione". Si puntualizza che la missione "richiederà regole di ingaggio robuste e riconosciute per l'uso della forza, in particolare per il sequestro di imbarcazioni in caso di resistenza, per la neutralizzazione delle navi dei trafficanti e dei loro beni, per situazioni specifiche come il soccorso di ostaggi”. Questo punto sembra prendere in considerazione il rischio che i boss degli scafisti usino i migranti come scudi umani per difendere le barche dalle truppe europee.

VERITA’ NASCOSTE - Quei documenti sono veri. E alla luce di quanto affermato, con dovizia di dettagli, vanno rilette le dichiarazioni “rassicuranti” del presidente del Consiglio, Matteo Renzi, del ministro dell’Interno, Angelino Alfano e della sua omologa alla Difesa, Roberta Pinotti, per concludere con il titolare della Farnesina, Paolo Gentiloni. In coro, hanno ripetuto alla stampa, in interviste o apparizioni in uno dei tanti salotti mediatici che la strategia europea anti-scafisti non prevede alcun intervento militare in Libia, "La pace non si porta con un'invasione", ha sottolineato il premier, "ma serve un controllo internazionale delle coste libiche per evitare uno schiavismo da parte dei trafficanti di essere umani". Il titolare della Farnesina ha chiarito che "né la missione europea, né l'eventuale risoluzione dell'Onu prevedono un intervento militare", ma si "autorizza" soltanto "la confisca e il sequestro di barconi in mare e l'individuazione, attraverso meccanismi di intelligence, di barconi in acque territoriali prima che imbarchino migranti". Rileggere queste solenni affermazioni alla luce dei documenti tirati fuori da WikiLeaks e pubblicati da l’Espresso pongono più di un interrogativo.

GUERRA NON PATTUGLIAMENTO - Sulla prospettiva di un pattugliamento-blocco navale non nasconde le sue perplessità l'ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto internazionale marittimo: "Blocco navale è un termine improprio, -puntualizza - poiché indica una misura di guerra, come quella attuata da Israele nei confronti di Libano e Gaza nel 2006 e nel 2009. L’Onu potrebbe attuarlo soltanto come misura sanzionatoria, e soltanto le autorità di Tobruk e quelle egiziane, al momento, potrebbero avvalersi di questo strumento". L’Onu, annota Caffio, dispone però della possibilità di intraprendere un embargo navale, come hanno già fatto in occasioni passate, e come è stato fatto già per la Libia nel 2011: in questo caso, l’embargo in alto mare e un eventuale blocco costiero decretato da Tobruk potrebbero integrarsi". "L’interdizione navale – prosegue l’ammiraglio Caffio – rappresenterebbe un deterrente per le imbarcazioni che trasportano armi o petrolio, ma bisognerebbe valutare la situazione delle navi che trasportano migranti, capire come le navi deputate ai controlli in un eventuale embargo possano effettuare i soccorsi di queste persone...".

Un altro blocco navale è stato messo in pratica nel marzo 2011, durante l’operazione Nato “Unified Protector” contro il regime di Gheddafi: ( LEGGI, CONTRO IL POLO LIBICO).oltre alla pioggia di missili Tomahawk su obiettivi libici e agli attacchi aerei, le navi militari hanno bloccato le navi rimanendo in acque internazionali. Questo lo scenario tratteggiato su RID (Rivista Italiana Difesa) dall’analista militare Giuliano Da Frè: impossessatisi di alcuni porti e di imbarcazioni di vario genere, e con la possibilità di sfruttare l’esperienza accumulata dagli scafisti da anni impegnati sulle rotte migratorie, Isis potrebbe ripetere tra golfo della Sirte e canale di Sicilia lo scenario che da 10 anni domina la regione marittima compresa tra la Somalia e Aden. Veloci natanti potrebbero infatti attaccare pescherecci, imbarcazioni da crociera, piccoli mercantili, ma anche vedette impegnate in missioni di soccorso, in questo caso più per catturare prigionieri da esibire con tuta arancione e coltello alla gola (e per i quali chiedere lucrosi riscatti) che merci.

Proprio le unità della Guardia Costiera possono risultare vulnerabili a scenari ancora più letali e mirati: il miscuglio tra mancanza di scrupoli e fanatismo potrebbe trasformare qualche barcone di ignari clandestini in una trappola esplosiva innescata nel momento in cui l’imbarcazione viene abbordata dai team di ispezione, o avvicinata dal guardacoste di turno, con conseguenze devastanti per uomini e mezzi. Fuori dalle polemiche di parte, varrebbe la pena ricordare che cosa significhi concretamente, attuare un serio “blocco navale Per implementare il blocco navale devono essere impiegati almeno 5000 uomini sul terreno, a difesa delle struttura strategiche, 4/6 droni da media e bassa quota per la sorveglianza delle coste, una nave con funzioni di comando e capacità di appoggio aereo per la quale immaginiamo la portaerei Cavour, due cacciatorpediniere per la protezione aerea nel caso in cui un Mig libico volesse compiere un attacco contro la nostra portaerei, una decina di unità minori, corvette e pattugliatori per imporre fisicamente il blocco navale e chiare regole di ingaggio, onde evitare che i nostri uomini diventino bersagli impotenti di terroristi e scafisti, sottolinea un report del Geopolitical Center.

Fregate, corvette e pattugliatori posizionati a tre miglia dalle coste libiche e coordinati da una nave da assalto anfibio tipo San Giorgio sarebbero in grado – rimarca l’analista militare Gianandrea Giani - di controllare in modo capillare l'area costiera intorno a Zawyah, la più vicina a Lampedusa, da dove salpano la gran parte dei barconi di migranti. La sicurezza del tratto di litorale e la deterrenza contro eventuali attacchi di miliziani verrebbero garantite dai cannoni delle navi, dagli elicotteri e dai jet da combattimento decollati dalle portaerei Cavour o Garibaldi o dalle basi dell'aeronautica di Trapani e Pantelleria”. .È evidente che la messa in moto di questo dispositivo militare impegna l’Italia molto più della disponibilità dichiarata di investire 5 mila uomini in una operazione internazionale – sotto egida Onu o Nato - di stabilizzazione della Libia. Per questo pattugliare non è sufficiente. La parola giusta è un’altra. Più scomoda: guerra. Non solo navale.

L’HUB SIGONELLA - Attacco dall’aria, rafforzamento del pattugliamento in mare con motovedette veloci dotate di esplosivo: è questo combinato disposto che sostanzia la “guerra” ai trafficanti di esseri umani. In questo ambito, una base fondamentale sarà quella di Sigonella, la più vicina alla Libia. In un futuro che si fa sempre più presente, concordano gli analisti militari, quell’avamposto di guerra in terra siciliana sarà un hub mondiale per i droni. Per lo spazio aereo dei droni, il ministero della Difesa ha peraltro creato già da qualche anno (il 2013) speciali “corridoi di volo” nel Mediterraneo, tra la Puglia, il poligono di Salto di Quirra e lo scalo di Decimomannu in Sardegna, le basi di Sigonella e Trapani in Sicilia e l’isola di Pantelleria .E nella base siciliana sono già presenti i Predator.

L’Italia con la disponibilità dell'Europa starebbe pensando all'impiego di Uav confermano fonti diplomatiche a Bruxelles. Una simile eventualità era già stata avanzata dall'ex capo di Stato maggiore dell'Aeronautica militare italiana, generale Leonardo Tricarico, attuale presidente della Fondazione "Icsa", centro-studi nel settore della Difesa e della sicurezza, fondato dall’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega ai servizi segreti, Marco Minniti. Fra i possibili "candidati" a questo tipo di missione, l'Uav "Predator". “Prima che i trafficanti possano caricare le imbarcazioni di migranti e provocare nuove tragedie del mare, spiega Tricarico, "sarebbe sufficiente avviare una attività ininterrotta di ricognizione armata delle coste e distruggere i natanti prima che prendano il mare, quando sono ancora vuoti: un'operazione che sarebbe tra l'altro molto semplice da condurre (anche con armamento inerte, per contenere ulteriormente il rischio di danni collaterali), per chi con questi mezzi ha operato per anni in Iraq, Afghanistan, Libia ed anche sul territorio nazionale in contrasto alla criminalità organizzata".

Per armare i droni, però, è necessaria la collaborazione degli Stati Uniti: "Sono anni - sottolinea ancora Tricarico- che gli Usa negano all'Aeronautica italiana i kit di armamento per i Predator, nonostante ci avviamo all'undicesimo anno di impiego in teatri operativi. Forse, al di là delle belle parole di cui ci gratificano sempre i nostri amici di oltre oceano, nei fatti siamo un alleato poco affidabile? Per gli inglesi invece il problema non si è posto, il loro grilletto è stato armato senza tante storie".

Preso da: http://www.huffingtonpost.it/2015/05/26/libia-julian-assange_n_7442758.html

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