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sabato 28 novembre 2015

Libia, di che cosa ha paura Parigi?

La reazione militare egiziana in Libia, decisa per vendicare l'esecuzione da parte dell'Is di dodici suoi cittadini di religione copta, ha cambiato improvvisamente i rapporti di forza nel Mediterraneo. La Francia ha chiesto una convocazione urgente del Consiglio di sicurezza dell'Onu: la sua strategia per ridimensionare la presenza italiana, provocando l'abbattimento del regime del Colonnello Gheddafi, si è dimostrata funzionale all'obiettivo di destabilizzare l'intera area mediorientale. Chissà, qualcuno sperava che, creando il caos, i conflitti interni tra fazioni, tribù ed appartenenze religiose, sterilizzassero il potenziale distruttivo antioccidentale del terrorismo islamico.

L'emergere dell'Is, il Califfato islamico tanto ubiquo quanto incomprensibile alla luce della esperienza statuale che permea la mentalità occidente, viene fronteggiata in Libia da una componente che si avvale del supporto dell'Egitto, alle cui spalle si sta muovendo la Russia.
Per la Francia, ed ancor più per gli Usa, sarebbe una catastrofe strategica: nel Mediterraneo si riproporrebbe lo schema della prima decolonizzazione, quando le rivolte contro i regimi monarchici legati al sistema politico della Gran Bretagna crearono le condizioni per un ingresso dell'URSS nel Mediterraneo. Tutti gli sforzi occidentali, dalla guerra del Kippur in poi, volti a ridimensionare la presenza russa nel Mediterraneo, sono stati così vanificati, uno dietro l'altro. Soprattutto quelli derivanti dalla Pace di Camp David, tra Egitto ed Israele, e dalla cancellazione operata con una legge americana della Libia di Gheddafi dalla lista dei paesi sostenitori del terrorismo, che risale all'estate del 2008.
La Russia, che sembrava definitivamente fuori del Mediterraneo, tenta di rientrarvi approfittando dei rivolgimenti conseguiti alle primavere arabe. La crisi ucraina l'ha costretta ad accelerare i giochi.
L'Egitto è solo la quinta casella su cui si muove la Russia, nello scacchiere mediterraneo. Nel silenzio pressoché totale dei media occidentali, che non ne hanno afferrato le implicazioni strategiche, il Presidente russo Vladimir Putin si è recato il 10 febbraio scorso nella capitale egiziana, dove è stato ricevuto con grandi onori, ricambiati con il dono al Premier al-Sisi di un esemplare del famoso mitragliatore d'assalto AK47 Kalashnikov. Donare un'arma ha un significato simbolico preciso: significa che la Russia intende dare sostegno politico e militare all'Egitto. Si è messo a punto l'ennesimo tassello della strategia russa, volta a non farsi ridimensionare al rango di potenza regionale asiatica dopo la crisi crimeana. D'altra parte, la storia di Piazza Tahir e del sostegno dato dagli americani alla rivolta che ha portato prima alla defenestrazione del Presidente Mubarak e poi alla elezione di Morsi sostenuto dalla Fratellanza araba, è ben presente ad al-Sisi: sa bene che cosa significa avere a che fare con movimenti religiosi islamici che ambiscono al potere politico.
Siria. E' quasi inutile parlarne: la difesa del regime di Assad è stato il primo, fondamentale, passaggio cruciale per la Russia. Se fosse caduto, la Russia avrebbe dovuto dire addio alla base di Larnaka, l'unica nel Mediterraneo. L'opposizione, in seno all'Onu, ad una iniziativa militare giustificata dall'uso di armi chimiche contro la popolazione civile è riuscita a bloccare quello che sembrava un inarrestabile domino: dalla rivoluzione dei gelsomini in Tunisia, alla rivolta di Piazza Tahir al Cairo, alla caduta di Gheddafi, mancava solo Damasco. Ed invece è lì che si è fermata l'onda della primavera araba. Putin, sulla Siria, non ha ceduto.
Verso la Turchia è stato compiuto il secondo passo di Putin, il 30 novembre scorso, quando si è recato ad Istanbul per offrire al Premier turco Erdogan l'approdo del South Stream, il gasdotto tanto osteggiato dalla Unione europea, che trasformerebbe la Turchia nel principale hub gasiero del mediterraneo. In successivi incontri, a Mosca, Putin ha lodato la fermezza di carattere di Erdogan, che non si era piegato alle pressioni occidentali per unirsi alle sanzioni commerciali contro la Russia. Nonostante gli attriti tra Turchia e Siria, e l'appartenenza della Turchia alla Nato, la Russia sta cercando di guadagnarsi comunque le simpatie di Ankara: nessuno di loro vuole avere a che fare con l'indipendentismo curdo.
La Grecia rappresenta la seconda area in cui la Russia può mettere in difficoltà l'Europa, estendendo il suo ruolo: in modo esplicito, il nuovo governo greco ha già cercato la sponda russa, che si è dimostrata ampiamente disponibile a fornirla. Il Ministro degli esteri russo Lavrov, riferendosi alle ben note difficoltà finanziarie della Grecia, alle prese ancora oggi con una difficile trattativa con la Unione europea, il Fmi e la Bce per rinegoziare le condizioni del programma di aiuti sottoscritto dal precedente governo guidato da Antonis Samaras, ha affermato che una eventuale richiesta di aiuto economico sarebbe presa in considerazione. A sua volta, il vice ministro degli Esteri greco Nikos Chountis, in visita a Mosca, ha affermato che la Russia e la Cina hanno già offerto sostegno economico, anche se Atene non lo aveva richiesto. Infine, il ministro della Difesa greco, Panos Kammenos, ha fatto balenare l'ipotesi che, nel caso del fallimento dei negoziati con i partner europei, la Grecia potrebbe rivolgersi ad altri Paesi, tra cui la Cina. Anche se è un bluff negoziale, la Grecia cerca di usare la tattica dei due forni: la Russia lo sa bene, ma sta volentieri al gioco.
A Cipro c'è stata, recentissima, la terza mossa della Russia. Cerca il rafforzamento dei rapporti politico-militari con Cipro, che è già da tempo una base finanziaria rilevante per i capitali russi. Nell'ambito del rinnovo, previsto per il prossimo 25 febbraio, dell'accordo di collaborazione militare già vigente tra la Russia e Cipro, Stato che fa parte della Ue ma non della Nato, si era ventilata addirittura l'ipotesi di una base navale russa a Limassol ad appena 40 chilometri di distanza da quella britannica. Questa indiscrezione, probabilmente diffusa ad arte da un quotidiano moscovita, ha mandato comprensibilmente su tutte le furie i responsabili delle marine occidentali. Anche qui si gioca a carte coperte: con Cipro, la Russia potrebbe non avere un poker d'assi, ma di certo sta cercando di fare scala.
La Francia ora chiede una riunione urgente all'Onu sulla situazione della Libia, ma senza avere nessuna carta in mano, nessuna strategia. Stretta dalla Germania da una parte e dagli Usa dall'altra, è finita in un cul de sac.

Preso da: http://www.teleborsa.it/Editoriali/2015/02/17/libia-di-che-cosa-ha-paura-parigi-1.html#.VlRPs63QRRT

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