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martedì 19 gennaio 2016

Quella strana attività militare in Libia

13/1/2016

Voli fantasma di aerocisterne per il rifornimento dei caccia sul Canale di Sicilia. Segnalazioni di bombardamenti mirati su alcune roccaforti dell'Isis. Un attacco armato non confermato ufficialmente ai cancelli dell'hub Eni a Mellitah, respinto dalle forze di sicurezza dell'impianto (ma quali?). Un blitz italiano con un aereo militare a Misurata per raccogliere alcuni feriti gravi dell'attentato kamikaze di qualche giorno fa a Zliten (74 morti). I segnali di una vigilia di guerra in Libia si moltiplicano, mentre è partito il conto alla rovescia per il varo del Governo di unità nazionale, e sul campo procede la mappatura degli obiettivi Isis da colpire.

È una corsa frenetica contro i tempi estenuanti della politica e contro le fazioni alleate del Califfato quella che si consuma in queste ore da Tripoli a Tobruk, per non parlare della fascia sahariana a Sud. E i primi a mettere gli stivali sul terreno sono stati al solito gli uomini delle forze speciali. Da tempo, quelli dello Special Air Service (Sas) britannico e i francesi del 2e Régiment Etranger Parachutistes della Legione (2° Rep). Ma lungo il confine orientale anche l'Unità 999 Cobra dell'Esercito egiziano. Obiettivo comune: drenare le aree conquistate o infiltrate dai jihadisti locali e stranieri e posizionare gli strumenti di puntamento per i cacciabombardieri quando il nuovo governo chiederà formalmente all'Occidente aiuto militare per riconquistare le città su cui sventolano i vessilli neri dell'Isis.
E l'Italia, cosa fa? La momentanea posizione "no combat" espressa al termine della riunione del premier Renzi con i vertici diplomatici e militari era scontata: nessuna azione militare senza una richiesta esplicita del nuovo governo, poi si vedrà. In realtà, tra voci e smentite, con mezzo piede in Libia ci saremmo già. Non solo perché alcune unità della Marina con un piccolo contingente di uomini incrociano lungo la linea delle acque nazionali (ricordate la protesta di qualche settimana fa, di un oppositore dell'accordo tra i governi di Tobruk e Tripoli?), ma perché più di una segnalazione racconta di militari delle nostre forze speciali (quelli del Comsubin, che misero in sicurezza le piattaforme petrolifere dopo la caduta di Gheddafi?) piazzati in segreto a protezione degli impianti dell'Eni.
In segreto, appunto. È la parola chiave del prologo a quello che potrebbe essere il primo scontro face to face tra Occidente e Califfato (anche se in franchising). Un confronto che finora europei e americani hanno evitato in Siria e Iraq, ma che verosimilmente non potrà essere surrogato allo stesso modo dalle bombe dei caccia anche sulla Libia polverizzata da anni di guerra civile. Ormai lo prevedono molti analisti, soprattutto dopo che l'Occidente ha ottenuto una parziale vittoria riunificando le due anime maggioritarie del paese (quella, diciamo così, laica e quella islamica, entrambe comunque devote al potere e ai ricchi proventi del petrolio), e prevedono che difficilmente l'Italia potrà mantenere una posizione di neutralità lasciando ad altri il compito di sporcarsi le mani sul terreno.
Non sarà una scelta facile per il governo, anche se il dispositivo militare è già pronto da mesi. Ma intanto, la verifica sul peso politico del nostro ruolo nel processo negoziale che sembra aver conciliato i due contendenti è attesa a giorni, forse ad ore, con la liberazione dei quattro tecnici che lavoravano per un subcontractor dell'Eni, sequestrati nel luglio scorso nella zona di Mellitah.

Preso da: http://www.huffingtonpost.it/andrea-purgatori/strana-attivita-militare-libia_b_8971940.html#

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