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giovedì 24 marzo 2016

TRUPPE CAMMELLATE DI SOROS IN PIAZZA. A DIFESA DELL'IMPERO DEI CLINTON CHIAMATO "CRONY AMERICA"

DI MAURO BOTTARELLI
rischiocalcolato.it
La campagna elettorale per le presidenziali Usa è davvero entrata nel vivo e, infatti, cominciano le provocazioni e i giochi nascosti. Domani è una giornata fondamentale, poiché si terranno primarie in Florida (Stato chiave), Ohio, Missouri, Illinois e North Carolina: se Trump dovesse uscirne vincitore, nulla potrebbe più bloccare la sua nomination a candidato repubblicano alla Casa Bianca. Nulla di legale, intendo. L’ultimo sondaggio NBC/Marist reso noto ieri vede Trump in vantaggio nella patria di Rubio, quella Florida che accredita il tycoon newyorchese di un 43% contro il 22% del competitor, mentre Cruz sarebbe al 21% e Kasich al 9%. Quest’ultimo sarebbe in vantaggio in Ohio per 39% a 33% su Trump, con Cruz al 19% e Rubio al 6%, mentre in Illinois Trump è accreditato al 34% contro il 25% di Cruz, il 21% di Kasich e il 16% di Rubio.


E che la posta in palio sia alta ce lo hanno dimostrato gli incidenti accaduti nel corso del weekend, prima a Chicago, poi in Illinois e Ohio. Venerdì, infatti, una folla imponente di manifestanti anti-Trump a Chicago ha preso d’assedio l’arena sportiva dove il tycoon newyorchese stava per prendere la parola. Mezz’ora di tensione, con l’arena già traboccante di pubblico, poi la sofferta decisione: comizio annullato.
Come anticipato, ci sono stati momenti di tensione anche in Ohio durante il comizio nell’aeroporto di Dayton, con il Secret Service costretto a intervenire per un uomo che ha tentato di salire sul palco. “Ero pronto ad affrontarlo ma è più facile se intervengono i poliziotti”, si è limitato a dire Trump. Annullato, invece, dopo diversi rinvii, l’evento all’University of Illinois, ateneo che vanta una lunga storia di attivismo politico. E qui Trump ha alzato il tiro: “Sono stati dei criminali. Erano manifestanti organizzati, professionisti e alcuni erano legati a Bernie. Sarebbe stato più facile per me tenere il comizio ma non volevo che nessuno si facesse male”. In compenso, quale è stato il video che i network statunitensi ed esteri hanno mandato in onda in continuazione nel weekend? La scena del ragazzo nero che protestava allontanato dai poliziotti, un seguace di Trump gli molla un pugno in faccia e i poliziotti che immobilizzano l’aggredito, mentre lasciano indisturbato l’aggressore.
Scena non certo edificante, ci mancherebbe e da condannare ma la storia della contrapposizione politica ci ha offerto ben di peggio che due poliziotti un po’ rudi e un esaltato che molla un destro. E non lo dico perché io difenda Trump per interesse, fino a prova contraria non sono americano e non voto per le presidenziali ma perché – come al solito – i media guardano dove vogliono e non dove dovrebbero guardare, ovvero a 360 gradi. Ad esempio, sapete chi è quest’uomo?

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Si tratta di Ilya Sheyman, un ex-candidato dell’Illinois a un seggio democratico per il Congresso Usa e ora direttore esecutivo di MoveOn.org Political Action, una simpatica organizzazione per i diritti civili e per la rappresentanza diretta, la quale si è presa il merito per l’azione di disturbo di venerdì scorso a Chicago che ha portato all’annullamento della manifestazione di Trump. E cosa ha detto in un’intervista alla web page del movimento? “Trump e i leader repubblicani che supportano lui e la sua retorica piena d’odio dovrebbero prendere nota di quanto accaduto stasera. Mi rivolgo a tutti quelli che sono scesi in strada a Chicago, grazie per esservi ribellati e aver detto che il troppo è troppo. A Donald Trump e ai Repubblicani, invece, dico benvenuti alle elezioni generali”, minacciando di replicare le azioni di protesta ad ogni evento che Trump terrà nel Paese.

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Non stupisce che i manifestanti di MoveOn.org nel corso della protesta scandissero il nome di Bernie Sanders, visto che una loro consultazione interna ha visto il 79% dei frequentatori scegliere il senatore del Vermont come candidato di riferimento. E, infatti, lo stesso Trump ha attaccato duramente Sanders, di fatto tacciandolo di essere in alcuni casi il mandante della violenza. Proprio sicuri che sia così? Me lo chiedo per un unico fatto: ovvero, la lista dei finanziatori di MoveOn.org. Sapete chi sono i primi due, i più munifici? Estremisti di sinistra? Socialisti ferocemente anti-Wall Street? No, la prima è Linda Pritzker della famiglia che gestisce la catena Hyatt Hotel, la quale ha donato 4 milioni di dollari e il secondo è l’onnipresente filantropo George Soros, il quale non solo ha donato 1,46 milioni ma di fatto ha garantito al gruppo di poter nascere e cominciare a operare. Insomma, Ilya Sheyman dice che è Trump la causa della violenza che lo circonda, che di fatto se la merita e che MoveOn.org farò di tutto perché questa prosegua. Reazione dei media? Il video del nero arrestato e portato via dopo aver preso un pugno da un razzista sostenitore di Trump.
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Uno schema a dir poco consolidato, il quale non solo ha consentito a stampa e tv di ignorare le 45mila persone mossesi per ascoltare e supportare Trump a Dayton e Cleveland ma di prendere anche due piccioni con una fava a livello politico. Primo, il tycoon viene dipinto come uno scatena guai ad ogni occasione pubblica, di fatto bollandolo come un politico divisivo e quindi negativo per la tenuta sociale degli Usa e si silenzia contemporaneamente il sempre crescente supporto bipartisan nei sui confronti. Secondo, nonostante io sia certo che la gran parte degli attivisti di MoveOn.org sia genuinamente al fianco di Sanders, il personalizzare le proteste e le violenze con il suo nome non fa altro che garantire a Hillary Clinton il crisma del candidato moderato, inclusivo, raziocinante e pragmatico. Insomma, se non volete il caos, c’è una sola alternativa per la Casa Bianca, al netto della disperata rincorsa di Cruz e Rubio in casa repubblicana.
Già, rassicurante. E molto establishment. Visto che come ha fatto notare la ABC, la Clinton ha un netto vantaggio in casa democratica soprattutto all’interno di una elite molto importante di delegati della Democratic National Convention: i super-delegati. Quando il 25 luglio la Convention si riunirà, questi super-delegati potranno dare il loro voto a chi vogliono, ignorando completamente il risultati di primarie e caucus e tra di loro ci saranno anche Barack Obama e Jimmy Carter. Questo gruppo – che è formato da 21 governatori, 40 senatori e 193 rappresentanti – rappresenta però soltanto un terzo dei super-delegati, visto che dei 463 rimanenti una larga parte è composta da insiders politici e lobbysti, federali e statali, che hanno ottenuto il loro status attraverso anni di donazioni al partito: solo i lobbysti pesano per il 9% del totale dei super-delegati e questa tabella
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ci mostra plasticamente la natura stessa di ciò che incarna la Clinton, ovvero quel “crony capitalism”, il capitalismo clientelare, dove le strette relazioni di politica e business contano più del merito. E per capire quale mondo sostenga e faccia capo alla rassicurante Hillary, basta andare a vedere i donatori alla Clinton Foundation, la holding di famiglia in cui la candidata è rientrata dopo aver lasciato il ruolo di Segretario di Stato nel 2013 e che lo scorso anno, stando al Wall Street Journal, ha ricevuto sempre crescenti donazioni da governi esteri. Non solo il bando rispetto a queste elargizioni imposto nel 2009 ha ricevuto più volte deroghe dal Dipartimento etico, non solo la Fondazione ha garantito ai coniugi Clinton qualcosa come 153 milioni di dollari per tenere discorsi in tutta la nazione ma sono i nomi dei donatori a far riflettere.

Il Dipartimento affari esteri, commercio e sviluppo del governo canadese ha infatti donato 480mila dollari, forse perché vagamente interessato a un via libera per la pipeline della Keystone XL, mentre il Comitato per la Coppa del mondo di calcio 2022 in Qatar ha donato tra i 250mila e i 500mila dollari, questo nonostante gruppi di attivisti per i diritti umani abbiano certificato la morte di almeno 1000 lavoratori migranti impegnati nella costruzione delle infrastrutture. Nel 2014, poi, le donazioni estere sono raddoppiate rispetto all’anno prima: gli Emirati Arabi Uniti hanno donato tra 1 e 5 milioni, il governo tedesco – grande fornitore di armamenti agli Usa – tra i 100mila e i 250mila dollari, l’Australia 5 milioni di dollari e l’Arabia Saudita, finanziatrice della prima ora della Fondazione, circa 8 milioni di dollari. Questa tabella
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mette in fila le donazioni estere alla Clinton Foundation dal 1999, anno di fondazione, al 2014 e guarda caso chi è in cima alla lista? L’Ucraina, Paese che si è visto garantito dagli Usa un bel golpe sponsorizzato proprio da George Soros e sostenuto da Dipartimento di Stato e FMI. E se queste tabelle,
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dimostrano sono solo che durante il mandato della Clinton come Segretario di Stato le principali multinazionali Usa abbiano fatto la fila per donare alla Clinton Foundation ma che la stessa, a conti fatti, nel 2013 ha devoluto in opere benefiche solo il 10% di quanto introitato, l’Arabia Saudita come terzo donatore estero mi fa pensare. Ovvero, sarà per questo che Hillary Clinton non disse a nessuno del contenuto della mail inviatale dalla sua gola profonda mediorientale, Sidney Blumenthal, il 16 febbraio del 2013 e misteriosamente sparita dal novero di mail rubate dall’hacker romeno Guccifer, il quale sta per essere estradato proprio ora negli Usa su sua richiesta? E cosa diceva quella mail, di cui resta solo il leak originale? Che a finanziare l’attentato all’ambasciata americana di Bengasi, nel quale morì l’ambasciatore, Chris Stevens, erano stati “islamisti sunniti in Arabia Saudita”, questo stando a prove in possesso dei servizi francesi e libici.
Cosa dirà Guccifer alla autorità Usa? Senza scordare che il Dipartimento di Giustizia due settimane fa ha concesso l’immunità a Bryan Pagliano, il tecnico informatico che ha settato il sistema che permetteva a Hillary Clinton di inviare e ricevere mail top-secret in un account privato di posta quando era Segretario di Stato. Lo stesso Bryan Pagliano che fu caldamente ringraziato dalla Clinton in persona, quando a settembre si rifiutò di collaborare con un panel del Congresso appellandosi al Quinto Emendamento. Parlerà? Salteranno fuori gli altarini di potere della Clinton?

Ne dubito, vista l’aria che tira. Un’aria che vede qualcosa di inaudito negli Usa, ovvero la nascita del movimento “Ditch and Switch”, un sito Internet lanciato da due sorella della North Carolina, nel quale gli elettori possono cambiare partito di appartenenza: solo nello Stato della Pennsylvania 46mila persone sono passate dai Democratici ai Repubblicani da inizio anno, mentre in Massachusetts sono stati più di 20mila. Ecco cosa dice il sito: “Per molti anni il Partito Democratico ha promosso agende politiche con cui gli americani non erano d’accordo… E’ ora che il popolo americano si schieri con Donald Trump e faccia di lui il nominato per la Casa Bianca. Siamo la maggioranza silenziosa ma le nostre azioni parlano più forte delle parole”. E senza i soldi di Soros. E questa tabella,
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ci mostra i trend di partecipazione al voto per i due partiti in alcuni Stati chiave, oggi e nel 2008: come vedete, la voglia di urne in casa repubblicana è schizzata alle stelle.
Ma c’è di più. Stando a The Hollywood Reporter, anche il solitamente democratico – inteso come orientamento di voto – mondo dello show-business cinematografico Usa vanta molti estimatori di Trump tra i rari rappresentanti repubblicani o indipendenti. Stando a un gestore portafogli di molti attori e registi, “per ogni supporter di Rubio o Cruz, ce ne sono 10 per Trump. E li capisco, perché sono il primo a fargli notare dove finirebbero le tasse in caso di vittoria di Sanders. E sa, anche i divi ci tengono al loro tenore di vita, alle mega-ville e alle scuole private per i figli: come potrebbero permetterselo, se gli restasse in tasca solo l’8% di quanto guadagnano?”.
Ad oggi sono schierati ufficialmente con Trump, l’attore John Voight, padre di Angelina Jolie, Ted Nugent, Kid Rock, Stephen Baldwin e il pittoresco Willie Robertson, protagonista della serie “Bizzarri e buzzurri” (“Duck Dinasty” negli Usa). Prevarrà questa America o quella tranquillizzante ma piena di segreti inconfessabili e impregnata di “crony capitalism” di Hillary Clinton?

Mauro Bottarelli
Fonte: www.rischiocalcolato.it
Link: http://www.rischiocalcolato.it/2016/03/truppe-cammellate-soros-piazza-difesa-quellimpero-dei-clinton-chiamato-crony-america.html
13.03.2016

Preso da: http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=16340

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