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giovedì 14 aprile 2016

Libia, interessi economici dietro la svolta pro governo

Fazioni riallineate su Serraj? Questione di soldi: chi aderisce all'esecutivo rivede gli stipendi pubblici che erano congelati. Così milizie e Comuni si sono convinti.

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07 Aprile 2016
Le ambasciate di Malta, Marocco e Tunisia hanno riaperto a Tripoli, dove sono pronti a tornare anche i diplomatici italiani.
Il capo negoziatore dell’Onu Martin Kobler e il suo consigliere militare Paolo Serra sono atterrati in Libia senza problemi, com’era impensabile ancora a fine marzo, con lo sbarco blindato nella capitale, il 30, dei membri del governo di unità nazionale di Fayyez al Serraj.
Invece in un paio di giorni l’autoproclamato Congresso nazionale e le barricate delle brigate islamiste che lo controllavano si sono inaspettatamente dissolti, e anche il premier islamista Khalifa al Gwell ha ripiegato a Misurata.
L'APPROVAZIONE DI TOBRUK. Ora resta solo l’ostinato rimandare l'approvazione del parlamento rivale di Tobruk: un tira e molla a Serraj che va avanti da un anno, ma ormai non c’è alternativa pena la decadenza dell'assemblea legislativa fedele al generale Khalifa Haftar.
Con l’ok alle modifiche costituzionali fissate negli accordi di pace in Marocco, diventerebbe invece il parlamento del nuovo governo legittimato dall’Onu: si può dire di no?

I COMUNI VERSO IL SÌ. Per il presidente della Commissione elettorale dei municipi, coordinatore degli 87 Comuni libici, Otman Gajiji «nei prossimi giorni si andrà verso un’ulteriore normalizzazione».
A Lettera43.it spiega che «altri Comuni e altre milizie in trattativa dichiareranno adesione al governo di unità nazionale. Il parlamento di Tobruk potrebbe riunirsi la seconda settimana di aprile e licenziare le modifiche costituzionali per risorgere come nuovo organo di Serraj».

Anche la Banca centrale libica sposta le milizie sul sostegno a Serraj

L'arrivo del premier Fayez al Sarraj a Tripoli.
L'arrivo del premier Fayez al Sarraj a Tripoli.

Dall’Italia, il premier Matteo Renzi e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni hanno espresso soddisfazione per gli «sviluppi incoraggianti della Libia verso l’unità».
DIETROFRONT TRIPOLI. Anche se quello che sembrava il passo più grosso, lo scioglimento in blocco dell’autoproclamato Congresso nazionale di Tripoli, guidato dal 2013 da Nouri Abusahmain e trasformato - come da accordi di pace in Marocco - in un Consiglio di Stato con funzioni meramente consultive al governo, è stato smentito dal premier Khalifa Ghwell, che ha invitato i suoi ministri a continuare nel loro lavoro.
«Chi applicherà le risoluzioni pubblicate dal cosiddetto Consiglio presidenziale di Sarraj sarà perseguito dalla giustizia», ha aggiunto nella dichiarazione ufficiale diffusa.
Il sì delle brigate di Misurata, che nel 2014 con le milizie di Abusahmain avevano preso il controllo dei palazzi del potere tripolini, è stato possibile grazie a una mediazione dell’Onu lunga mesi e ultimamente anche della Turchia, complice, forse, un grosso accordo militare o politico raggiunto con Serraj.
CONTI DELLE MILIZIE CONGELATI. Ma la chiave di volta per far cadere le resistenze tra fazioni che per quasi due anni hanno fomentato la guerra civile è stata economico-finanziaria: la Banca centrale libica, che in questi anni ha trasferito i pagamenti pubblici a tutte le parti in guerra ma non ha mai neanche allentato i rapporti di lunga data con i governi europei e con l’Onu, ha subito riconosciuto l’esecutivo di Serraj, accentandone la richiesta di congelare i conti di tutte le istituzioni statali.
Anche i pagamenti degli stipendi ai dipendenti di Comuni e ministeri, incluse le milizie, sono stati bloccati: solo chi adesso aderisce al governo di unità nazionale può chiederne lo scongelamento a una commissione ad hoc.
Ed è quello che sta accadendo: più di 50 Consigli municipali sono in trattativa e tra questi diverse città, tra le quali Zuara e Sabrata, si sono immediatamente unite a Serraj.
IL RUOLO PRIMARIO DEI COMUNI. La Commissione elettorale di Gajiji, che al momento lavora su alcuni fascicoli con il governo di unità nazionale, è d’altra parte da mesi vicina ai negoziati dell’Onu: i Comuni libici hanno avuto un ruolo primario come tessitori tra i due esecutivi in guerra e con la galassia di milizie loro alleate.
«Speriamo di poter ripartire dal punto del 2012. L’esecutivo di Serraj non ha la bacchetta magica, ma cercherà di fare del suo meglio per fornire i servizi di base alla popolazione, che è quello di cui la Libia, in questo momento ha bisogno», dichiara Gajij, «le altre vie non hanno funzionato. La pacificazione, con un po’ di sostegno internazionale, è ora l’unico modo per uscire dalla crisi. Altrimenti ci uccidiamo l’un l’altro ed è una strada che non accetto».

In un Paese commercialmente fermo riprende il business del petrolio

La fila all'apertura di una banca, in Libia.
(© Twitter) La fila all'apertura di una banca, in Libia.

Mezzo milione di libici, su una popolazione di 6 milioni, è sfollato.
Famiglie che in gran parte hanno le case distrutte o saccheggiate e che dovranno essere aiutate e compensate dei danni.
Anche se le scuole e le università non si sono mai fermate, diverse attività commerciali sono bloccate, i negozi nelle aree più critiche chiusi.
La Libia vive da mesi la più grossa crisi di liquidità in mezzo secolo: ai bancomat si creano resse per prelevare un massimo di 50 dinari (30 euro) al giorno e la migliore notizia della transizione, finora pacifica, è l’annuncio della Compagnia nazionale petrolifera (Noc) di raddoppiare presto la produzione di greggio a 800 mila barili al giorno.
RIAPRONO I POZZI DELL'EST. Anche la Noc è con Serraj come la Banca centrale.
E in Cireanica, dove i terminal costieri petroliferi sono da anni bloccati per gli scontri tra fazioni, è arrivato l’ok al governo di unità delle milizie del porto di Brega: la riapertura dei pozzi e dell’export nell’Est sarebbe una grossa boccata d’ossigeno.
La maggioranza dei libici ha bisogno di tornare al lavoro, riunire le famiglie, uscire con gli amici: il governo Serraj che riconcilia e porta ordine può trovare consenso popolare.
«È chiaro che in Libia l’opposizione non viene dalla gente, chi lo ostruisce lo fa senza il volere dei cittadini», ha commentato l’inviato dell’Onu Kobler all’indomani dell’insediamento.
Oltre al nodo controverso di futuri incarichi militari al generale Haftar, devono essere decisi tutti i ministeri che contano: la squadra di Serraj è finora composta da cinque vice e tre ministri senza portafoglio.
CONTESA SUI MINISTERI. La lista dei dicasteri è materia di aspra contesa tra le fazioni e dovrà essere approvata dal parlamento di Tobruk, solo dopo le modifiche costituzionali e l'accettazione dell'esecutivo bipartisan.
La seduta che è destinata a sdoganare definitivamente il governo di unità nazionale potrebbe tenersi nella seconda settimana di aprile, alla presenza di invitati di Ue, Onu e Lega araba.
In caso contrario l’esecutivo di Serraj resterebbe in carica senza un parlamento, ma con il potere di trovare altre soluzioni di compromesso.
Tra i primi suoi compiti, anche la ricostituzione di un esercito nazionale, facilitato dal ruolo dell’Onu e dal training dei Paesi della Nato alle forze libiche.
«Un intervento internazionale limitato con i droni per combattere il cancro dell’Isis potrebbe essere accettato e anche richiesto, nel caso noi libici non dovessimo farcela da soli», conclude Gajiji, «ma solo raid strategici mirati. Non forze straniere a terra né bombardamenti di portata maggiore».

Twitter @BarbaraCiolli

Preso da: http://www.lettera43.it/politica/libia-interessi-economici-dietro-la-svolta-pro-governo_43675241063.htm

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