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mercoledì 25 maggio 2016

Un imbroglio non poi così complicato


(Gabriele Adinolfi) - Libia: il nostro governo tergiversa e forse nasconde qualche non piacevole fatto compiuto.
Cosa è avvenuto e che sta accadendo nel Paese che fu di Balbo?
Semplicemente che nel 2011, a cento anni esatti dalla nostra vittoriosa impresa coloniale, Napolitano e la sua cerchia hanno rovesciato gli equilibri consolidati e consegnato quelle terre a chi prima di noi su di esse esercitava le mire.
La Libia è stata dapprima destabilizzata, tanto dal produrre almeno due governi ufficiali. Già, destabilizzata e incontrollabile. Quanto? 
Le milizie armate si computano intorno al migliaio, tutte armate fino ai denti, e sono espressioni di clan e fazioni: quindi ci sembra che domini il caos. Peccato però che i fondi con cui sono stipendiati i miliziani vengano tutti erogati dalla Banca Centrale che è quindi in condizione di paralizzarle ma non lo fa.
C'è di più: l'equivalente locale dell'Isis (ovvero dei contractors che controllano i pozzi e liberano così il mercato del petrolio senza che si passi necessariamente per lo Stato) si chiama PFG ed è stipendiato sia dalla Banca Centrale che dai petrolieri.
Questo “caos” profitta dunque agli speculatori privati, lì, e a quelli di carne umana, qui, perché ha contribuito a far cadere il blocco dell'emigrazione accelerandone anzi il processo per via del terrore e dell'instabilità.

L'ordine rinnovato
Ora si parla d'imporre una stabilità nuova. Apparente, in realtà, perché l'instabilità di oggi, come abbiamo visto, è stabile eccome. Ma è ormai tempo di ripartire i dividendi e una nuova mascherata ci vuole.
L'uomo su cui abbiamo scommesso – in Italia abbiamo la caratteristica cialtronesca di fingere di essere vittoriosi in tutte le disfatte – si chiama Fayez Al Serraj. A lanciarlo in orbita è stato l'Onu con l'appoggio immediato italiano e tedesco. Che il sostegno sia tedesco può farci piacere perché indica che c'è quantomeno una prospettiva politica possibile, tuttavia non ci dobbiamo dimenticare che, all'epoca della spedizione in Libia, Berlino ci osteggiò perché i nostri interessi erano divergenti dai suoi e questo contribuì non poco al rovesciamento di alleanze che si sarebbe verificato poco dopo, nella Grande Guerra.
A prescindere dal calcolo forse europeo di Berlino, l'ultima capitale Ue in cui si ragiona in modo sensato, la scelta assume anche altri aspetti.
Vi è un placet americano abbastanza chiaro. Sono loro che ci chiedono di metterci la faccia perché intendono guadagnare, mediante noi, quote sugli anglofrancesi che si sono rafforzati un po' troppo.
Ma sulla stabilizzazione istituzionale convergono anche i francesi e soprattutto i turchi, quelli contro cui ci sparammo centocinque anni fa per contenderci il territorio libico.

Che ruolo avremo
In sostanza il nostro ruolo si ridurrebbe a quello di truppe di complemento utili agli americani solo per la ridistribuzione di quote. Preziose poi, sicuramente, per la conoscenza del territorio, per le capacità militari che, per quanto si abbia noi la tendenza al denigrarci per principio preso, sono notevoli e, infine, per il calore umano.
Non potremo però che essere usati da altri.
Salvo se ragioniamo in ottica di equilibri europei e speriamo in Berlino. Ma che questo sia possibile o no dipende ben poco da noi.
Quindi in Libia non ha senso combattere?

Fronteggiare lo jihadismo
Resta l'argomento della necessità di fronteggiare lo jihadismo. Facciamolo lì, si dice, prima che arrivino qui.
Giustissimo ma è difficile sostenere che questo lo si possa fare insieme a inglesi, americani, francesi e turchi.
D'altra parte su chi dovremmo contare per combattere il fanatismo islamico? È vero che i pozzi libici non li controlla l'Isis ma la forza para-istituzionale che li domina fa capo ad Al Qaeda. Quella che, ufficialmente, avrebbe abbattuto le Due Torri. In realtà quell'organizzazione è, storicamente e non solo, un'articolazione della Cia ma, come accadde in tutte le esperienze precedenti - si pensi alle bande bolsceviche - è anche impregnata di un'ideologia e di un progetto che difficilmente possono essere spacciati per anti-jihadisti. Dunque anche questa ragione d'intervento è quantomeno zoppa.

Sciuscià dei liberatori
Il guaio maggiore è che noi siamo in sovraesposizione e sembra che in qualche modo dominiamo la scena o siamo in grado di farlo, ma la realtà non è propriamente quella che ci raccontiamo.
Per farla breve, oggi operiamo lì, magari da protagonisti sul terreno ma di fatto da semplici pedine altrui sulla scacchiera. In una Libia in cui, grazie a Napolitano e compagnia bella, abbiamo rimesso in sella tutti quelli contro cui combattemmo nel 1911. Se non si chiama tradimento si chiamerà come? Liberazione?

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