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giovedì 19 gennaio 2017

Libia, il fantasma di Serraj e il terzo attacco in 10 mesi

Il dilemma degli occidentali: sacrificare il premier scampato al golpe, non si può; continuare a sostenerlo, è rischioso. L’unica è rivedere gli accordi di Shkirat

 
di Francesco Battistini
Il premier libico Fayez Serraj 
Il premier libico Fayez Serraj
 
Rivedere Shkirat. Non è il titolo d’una nostalgica canzone: è quel che il disastro libico sta imponendo alla comunità internazionale. Perché gli accordi 2015 che portarono alla nascita del governo dell’architetto Serraj, siglati dall’Onu nella città marocchina di Shkirat, sono ormai stropicciati. Importa poco se un ex premier che non conta più nulla prova (per la terza volta in dieci mesi!) a riprendersi la poltrona d’un premier che non ha mai contato nulla.

Né che occupi palazzi del potere dove tutto c’è – guardiani assonnati, uffici vuoti, computer scollegati – meno che il potere. Golpe o non golpe, enfatizzato o minimizzato, il caos tripolino preoccupa meno per quel che potrebbe combinare Ghwell e più per quel che, ancora una volta, non è riuscito a Serraj: tenere insieme un Paese che ha quattro autoproclamati governatori – l’architetto e l’islamista Ghwell a Tripoli, il generale Haftar in Cirenaica, il califfo Al Baghdadi chissà dove – e nessun vero governo. Per un colpo di Stato, servirebbe prima avere uno Stato. Ma questo “consiglio di fregata” presieduto da Serraj - così lo chiamano sprezzanti gli avversari: un consiglio dei ministri balneare insediato nella base navale di Abu Sita, l’unico pezzo di Libia che l’Onu riesce a controllare – è un travicello che galleggia. Che farne? Tenerlo lì, sempre più complicato: lo capiscono l’inviato onusiano Kobler, gli europei, sotto sotto anche gl’italiani che vi hanno puntato. Il mite premier ha limitata autonomia.

A garantire e insieme a zavorrare il suo governo è stato finora il vice Ahmed Maitiq, un misuratino di 45 anni, amico delle milizie meglio armate del Paese e però arcinemico di Haftar. Gli aspiranti golpisti chiedono la cacciata dell’architetto e addirittura un processo, il Parlamento di Tobruk teleguidato dal generalissimo lo considera un traditore “troppo amico degli italiani”, ma anche fra i (pochi) suoi c’è chi vorrebbe rivederne il ruolo di presidente, preferendo un triumvirato che rappresenti meglio la coalizione d’unità nazionale. Il blitz di Ghwell ha sorpreso Serraj al Cairo, mentre cercava una mediazione last minute coi protettori egiziani e russi del suo rivale Haftar: che sia stato un possibile accordo col generale, e la paura d’essere stritolati, a spingere all’azione gl’islamisti golpisti? L’Onu in Libia non c’è, l’Ue nemmeno, gli americani latitano e i russi premono.
Il dilemma così è soprattutto italiano: sacrificare adesso un Serraj scampato al golpe, non si può; continuare a sostenerlo, è rischioso. Rivedere Shkirat, ecco. E in mancanza di meglio, dare nuove regole al governicchio. Mercoledì a Tunisi ci si riunisce per il “dialogo inter-libico”, in agenda c’è la solita urgenza di capire: come imbarcare Haftar senza affondare, come galleggiare col re travicello.
13 gennaio 2017 (modifica il 14 gennaio 2017 | 01:48)

Preso da: http://www.corriere.it/esteri/17_gennaio_13/libia-fantasma-serraj-85afe13e-d9d4-11e6-9668-96e09f069892.shtml?refresh_ce-cp

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