Translate

giovedì 13 aprile 2017

Libia, dove in carcere se ti torturano e non ti violentano puoi dirti fortunata


Libia, dove in carcere se ti torturano e non ti violentano puoi dirti fortunata

7 aprile 2017
I racconti raccolti nel Centro di Accoglienza Straordinaria della Croce Rossa Italiana a Lecce. E c'è chi ha lasciato il loro Paese per fuggire alle violenze del marito: “un giorno mi ha gettato acqua bollente addosso, mi ha picchiato e ho perso il mio bambino. Non potevo fare altro che scappare”
La chiamano “la rotta della Libia”. Significa fatica e terrore, morte in alcuni casi, 655 per l'esattezza sui venticinquemila che dall'inizio dell'anno hanno provato a raggiungere le nostre coste. “E' un viaggio difficile, io ce l'ho fatta, ma non per questo posso incoraggiare i miei fratelli africani a intraprendere lo stesso cammino”, racconta Fatou in un video girato nel Centro di Accoglienza Straordinaria della Croce Rossa Italiana a Lecce. Fatou ha lasciato il suo Paese per fuggire alle violenze del marito: “un giorno mi ha gettato acqua bollente addosso, mi ha picchiato e ho perso il mio bambino. Non potevo fare altro che scappare”. Poi l'arrivo in Libia, in cerca di un barcone per l'Italia: “Ho fatto la prigione a Tripoli. La mia compagna di cella è stata violentata da tre uomini e per me, paradossalmente, è stata una fortuna, perché sono stata torturata, ma non violentata”, rivela la ragazza nigeriana, che preferisce non mostrarsi in video per paura.

L'errore di spostare la gestione delle migrazioni sulla Libia

I segni di un lungo cammino. Insieme a lei tanti altri sono stati assistiti dagli operatori della Croce Rossa nel Cas di Lecce: quasi settemila nel 2017 e circa dodicimila negli ultimi cinque mesi dello scorso anno. Anche Seyni è arrivato in Italia attraverso “la rotta della Libia”. Sul viso porta i segni del lungo e faticoso cammino dal Senegal, suo Paese natìo, fino alle spiagge della Sicilia. Anche lui, come Fatou, è stato imprigionato a Tripoli e ha subito torture. Nel suo racconto, davanti alle telecamere, ripercorre quei giorni, in maniera sintetica ma inequivocabile: “Non mi davano da bere, né da mangiare per giorni interi. E quando arrivava del cibo, non poteva certo essere chiamato cibo. Per questo voglio dire ai miei fratelli africani di non andare in Libia. Lì ti picchiano, ti maltrattano, ti uccidono”. Nel solo mese di marzo sono quasi undicimila le persone arrivate in Italia via mare, lungo la “rotta della Libia”: il 12% in più dello scorso anno e cinque volte di più rispetto a marzo 2015.

Quei diritti che il governo libico non fa rispettare. "In una Libia senza stabilità, la vita dei migranti è un vero e proprio inferno e in molti finiscono in centri che sono sostanzialmente prigioni, con racconti di torture, privazioni di cibo e acqua e violenza continua”, ha dichiarato il Presidente nazionale di Croce Rossa Italiana, Francesco Rocca. “La Comunità internazionale si deve impegnare per una stabilizzazione dell'area sostenendo le Istituzioni locali, non dimenticando però un impegno forte per i diritti umani. La Mezzaluna Rossa Libica, al momento, è uno dei pochi presidi di umanità”, ha aggiunto Rocca. “Oltre ad accordi di tipo economico, il nuovo governo libico dovrebbe assicurare il rispetto dei diritti fondamentali”, ha proseguito Rocca. “Come detto in più di un'occasione, siamo seriamente preoccupati dagli accordi con la Libia: non si può pensare di affrontare il fenomeno migratorio spostando il problema al di là dei nostri confini, in Libia o in Turchia, senza avere la certezza del rispetto della dignità dell'essere umano", ha concluso il Presidente nazionale della CRI.

Nessun commento:

Posta un commento