Translate

giovedì 7 dicembre 2017

La mafia dietro il traffico di migranti dalla Tunisia? Il racconto dello scafista

25 novembre 2017, Valentina Petrini.
La mafia dietro il traffico di migranti dalla Tunisia? Il racconto dello scafista

Nell’ultima inchiesta per Nemo-Nessuno Escluso firmata con David Chierchini e Matteo Keffer, ho scoperto questo. Seguitemi!
Totò è un intermediario: la prima persona che bisogna cercare per organizzare il viaggio dalla Tunisia all’Italia. Sulla piazza non c’è solo lui: nel suo quartiere (periferia di Tunisi) ci sono altri quattro intermediari. Ce ne sono tanti sparsi per la città, non si conoscono tra di loro: “Ognuno fa i cazzi suoi, con i marinai suoi… anche perché quando qualcuno muore ce li hai sulla coscienza”.

Tu trovi i ragazzi che vogliono partire?
“No, sono loro che trovano me…”.
E infatti mentre sono lì un arriva un ragazzo, si chiama Salem El Abed, tutti lo chiamano Sami. Cerca proprio Totò l’intermediario.
“Totò quando si parte?”
“Sami il mare è mosso per ora, devi aspettare”
“Che faccio? Intanto mi sposto a Monastir?”
“Sì, vai lì domani e aspetta. Appena ci saranno notizie riceverai una telefonata”
Mi intrometto nella loro conversazione: “Posso venire con te?”
Sami ci pensa, l’intermediario lo guarda, ma alla fine sembra dargli l’ok. Sì, posso seguirlo. Da questo momento inizia il mio viaggio con lui per scoprire come funziona questa rotta.
La rotta dalla Tunisia all’Italia è una rotta antica, completamente diversa da quella libica. Dalla Tunisia partono solo ragazzi tunisini. La maggior parte di loro sogna la Francia, ma alcuni si fermano anche in Italia. Da Monastir, Sfax e l’isola di Kerkenna l’Italia è a meno di un giorno di navigazione. Le barche arrivano sulle coste siciliane eludendo tutti i controlli. E nessuno ha idea di come sia possibile.
Il giorno dopo Sami mi chiama, mi porta a casa sua, un alloggio popolare nella periferia di Tunisi.
Sami ha 25 anni, è un operatore specializzato nell’estrazione del petrolio. In Occidente chi ha la sua specializzazione è ricco: può arrivare a guadagnare anche 5mila euro al mese.
A Tunisi però lui può fare solo il benzinaio, prende 200 euro al mese e sogna la Francia, in particolare Lione dove negli ultimi mesi sono arrivati diversi suoi amici. Mi mostra le foto: indossano tute da lavoro, poi ci sono le foto dei banchetti tutti insieme. Sami sogna quella vita, quella libertà. Non lo può fermare nessuno.
Nel 2011 Sami ha partecipato attivamente alla primavera araba tunisina. Mohammed Bouazizi con il suo gesto estremo diede il via alla rivolta: il giovane venditore ambulante si diede fuoco in segno di protesta contro il dispotismo e la corruzione del regime di Ben Alì.
Sami e la sua generazione chiedevano lavoro e democrazia. Oggi in Tunisia cos’è rimasto di quel vento di ribellione? “Dicono che la Tunisia oggi è un paese democratico, che c’è libertà di parola – racconta Sami – Ma noi in realtà non possiamo vivere liberi fino in fondo. La polizia ci perseguita se beviamo o andiamo nei locali o peggio ancora se ci scoprono a convivere o fare l’amore fuori dal matrimonio. Questa non è libertà! Io non sono musulmano, non dovrei nemmeno dirlo. Rischiamo tutti tantissimo. Per esempio: io convivo, la mia fidanzata ha 23 anni ma dobbiamo stare sempre attenti perché i vicini possono fare la spia. Se arriva la polizia e ci trova in casa soli insieme ci arrestano e il carcere qui non è una passeggiata”.
Sami prepara uno zaino leggero, “in barca ci hanno detto che non possiamo portare quasi niente”, saluta la sua donna ed pronto.
Si parte, l’Italia è a un soffio.
Prima tappa: Monastir.
Quando arriviamo a Monastir ci sono posti di blocco ovunque: la polizia ci ferma due volte. Controlla documenti e ci interroga. Destiamo sospetto: che ci fa un ragazzo tunisino con un gruppo di italiani? Ci vogliono diverse ore prima che ci rilascino tutti. Una volta liberi ci mettiamo seduti e aspettiamo le prossime indicazioni. Le ore passano, Sami fuma nervosamente, il suo telefono non squilla e finché non squilla lui non sa come proseguire il viaggio. Quando ormai è sera, finalmente arriva una telefonata. 
È il secondo intermediario. Sami va ad incontrarlo solo con una telecamera nascosta. E’ un ragazzo tra i 20 e i 25 anni. Sembra non sappia molto. Ha solo un’indicazione da dare: “Sami domani mattina fatti trovare pronto tra le 9 e le 10, la persona che ti chiamerà ti dirà dove andare”.
L’indomani puntuale, tra le 9 e le 10 Sami riceve l’ultima telefonata. E’ quasi fatta. Sami ha superato l’esame, potrà incontrare il trafficante. Da questo momento però Sami deve proseguire da solo. Dobbiamo dividerci qui. Prima di partire gli lascio uno zaino con una telecamera nascosta. Vuole documentare tutto quello che gli accadrà, ma appena viene prelevato dall’organizzazione Sami scopre che è costretto a spegnere il cellulare. Prima di farlo riesce a contattarmi: lo trasferiscono sull’isola di Kerkenna.
Kerkenna è l’isola tunisina più vicina all’Italia. Ci sono barchette di pescatori e casette in riva al mare dove si nascondono i migranti in attesa di partire. Tra loro c’è anche Sami. La sera Sami mi chiama da un numero che non conosco. Mi dà appuntamento vicino al mare, e quando arrivo scopro che non è solo. Con lui c’è il trafficante. Tratta con il nostro interprete. Alla fine si convince e si fa intervistare.
Lei è l’uomo che guiderà la barca per portare Sami in Italia?
Sì.
Quante persone porterà in questo viaggio?
30/40 persone.
E’ il primo viaggio che lei fa?
No ho fatto già sei viaggi.
Lei prima che lavoro faceva?
Io facevo il pescatore, sono nato pescatore. Ora non si guadagna più.
Dove è riuscito ad arrivare eludendo i controlli?
A Pantelleria e Lampedusa.
Senza incontrare Guardia Costiera, Marina Militare… nessuno?
A me non è mai capitato di incontrare nessuno, ma la settimana scorsa hanno fermato una barca.
Come funziona? Lei arriva in spiaggia, sempre eludendo i controlli, scarica i migranti e poi torna indietro?
Quando arrivo, diciamo a circa 16 miglia da Lampedusa, mi faccio guidare dal faro. Per prima cosa li scarico, poi gli dico che io rientro a Tunisi. Gli do una lanterna e mi raccomando di tenerla coperta finché io non mi sono allontanato. Poi loro scoprono la luce e quelli li vengono a prendere. Quelli che li prendono sono italiani.
Veramente?
Sì.
Cioè vuole dire che c’è una collaborazione tra i pescatori tunisini e i pescatori siciliani?
Non tra pescatori. Sono quelli delle mafie, mafie capisci? A loro portiamo un po’ di cose, sigarette di contrabbando ed altre cose. Lavoriamo di regola con loro, gli vendiamo la roba e anche il fumo. L’ultima volta che ho fatto questa rotta non ho trasportato persone, ho portato della merce… erano degli scatoloni. Basta fai troppe domande, camuffa la mia voce, anche la schiena. Queste cose non le ho mai dette a nessuno, se mi scoprono non esco più di galera.
Questa è stata l’ultima volta in cui ho visto Sami.
Ad oggi non so se sia riuscito a partire o se sia già arrivato in Italia. Il suo telefono non squilla più, il profilo Facebook e Instagram non sono aggiornati e nemmeno il nostro interprete ha più contatti con lui.
Da mesi stiamo puntando il dito contro le Ong infangando tutti i volontari con il sospetto che salvino vite umane in accordo con i trafficanti. E nessuno si è accorto del ruolo che la mafia italiana, la nostra criminalità, potrebbe aver assunto nella tratta di uomini dalla Tunisia?







Nessun commento:

Posta un commento